Mi chiamo Lucy Barton (Elizabeth Strout)

Buongiorno a tutti. Vi svelo un segreto: tutti gli anni faccio una gara con me stessa. Cerco di superare il numero di libri letti l’anno precedente. L’anno scorso ho davvero esagerato e, quando ho visto il numero di quest’anno, mi sono un po’ rattristata visto che ormai siamo a fine novembre. Così dalla mia alta pila di libri in attesa di essere scelti ho preso il più sottile e con meno pagine possibili per aumentare la mia scommessa. Sinceramente non mi ricordo di aver acquistato Mi chiamo Lucy Barton forse mi è arrivato in regalo dal Club degli Editori ma sono sicura che non ho scelto io questo romanzo.

Voglio precisare questa cosa perché è un genere che non mi ha mai attirato. Spesso fatico a sopportare la mia di vita figuriamoci se mi addentro così profondamente in quelle degli altri. Ma il modo in cui la scrittrice racconta di Lucy non è male, il linguaggio semplice, i paragrafi corti aiutano il lettore a non annoiarsi troppo e ad avere un certo ritmo nella lettura. Elizabeth Strout ha un bel modo di scrivere, sa come essere incisiva quando serve e come lasciare che un discorso si chiuda senza lasciare nulla al caso.

L’argomento di cui tratta questo romanzo gira attorno alla famiglia. Una famiglia che la protagonista a volte ha odiato profondamente ma da cui non è capace di staccarsi anche se è da tantissimo tempo che non li vede, perché lei è riuscita a prendere una strada migliore, una via che l’ha separata dalla povertà in cui è cresciuta, dalla voce stridula di sua madre, dai suoi strani fratelli e da quel padre che le riservava solamente tanta violenza.

La maggior parte di noi ha dei ricordi familiari che fanno ancora male. Forse perché la famiglia è il primo ambiente dove siamo cresciuti, forse perché la famiglia ha sempre significato casa, calore, sentimenti, anche se il più delle volte non è veramente così. E’ proprio nel seno della famiglia che a volte si soffre di più, i genitori spesso non sono maestri nel loro ruolo e spesso non sanno cosa fare e come comportarsi. Il ruolo di genitori è importante ma bisogna considerare che anche loro sono stati bambini e non sono esseri infallibili come credevamo da piccoli.

Tra le righe di questo romanzo ho trovato tanto a cui pensare, ho rivissuto un po’ la mia infanzia, i problemi con mio padre che non mi ha mai detto “ti voglio bene” proprio come la madre della protagonista, ho ripensato a mia madre che comperava i regali anche da parte sua senza che lui lo sapesse per farmi felice e farmi credere che la loro situazione fosse diversa da come si presentava ai miei occhi. Ho provato anche la nostalgia di non averli più qui con me e come appaiono diverse le cose a distanza di tanti anni: si dimenticano le cose più brutte o meglio si dà loro una spiegazione e si ricordano solo i momenti felici o quelli che sembravano tali…

TRAMA

Lucy è una donna ormai, ha la sua vita, fa la scrittrice, è sposata e ha due figlie meravigliose. Da tre settimane è in un letto di ospedale ricoverata per una complicazione dopo l’operazione di appendicite. La sua febbre non scende e lei ha una immensa voglia di uscire da quelle mura e di abbracciare le sue figlie che le mancano così tanto. Mentre è costretta a letto riceve una visita: sua madre. Erano anni che non si incontravano di persona, qualche telefonata ogni tanto ma nulla più di questo. La madre non è più giovanissima e non è mai stata in grado di viaggiare ma è partita dall’Illinois, ha preso il primo aereo della sua vita e l’ha raggiunta a New York per darle un po’ di conforto.

Il rapporto tra loro non è mai stato dei migliori. La povertà di quando Lucy era bambina sembrava averle allontanate sin da subito. Ma Lucy non prova dei risentimenti nei confronti di sua madre anzi ha sempre cercato il suo affetto e quando si sente chiamare Bestiolina come da piccola a Lucy le si riempie il cuore di gioia. Lucy vede sua madre molto cambiata sia nell’aspetto fisico che nei modi ma soprattutto nella voce. E’ diventata più morbida fisicamente e la sua voce è diventata molto più dolce di un tempo.

Lucy chiede alla madre di raccontarle una storia, di farla entrare nel suo mondo. Un mondo diverso dal suo, un mondo in cui sua madre non ha mai dormito veramente ma ha solo fatto qualche sonnellino sulla sedia, un mondo dove sua madre ha perdonato le angherie del marito verso i figli solamente perché lo comprendeva. E così la madre di Lucy le racconta delle persone che conosce: della sua conoscente un po’ altezzosa Kathie Nicely, della sua cugina molto sfortunata Harriet, della bellissima Mississippi Mary che era davvero povera. Sembrano chiacchiere tra amiche, pettegolezzi che si fanno davanti ad una tazza di caffè ma questo rassicura tanto Lucy assieme ad un medico molto gentile che vuole farla guarire prima di dimetterla.

Dopo cinque giorni la madre se ne va senza dire nemmeno una volta a Lucy che le vuole bene anche se lei glielo chiede espressamente e la vita di Lucy continua…

IL MIO PARERE

Ho detto poco della trama anche perché il romanzo è davvero molto corto: 160 pagine scritte molto in grande e non voglio mai rovinare la lettura a chi ha intenzione di scegliere Mi chiamo Lucy Barton. E’ una specie di biografia di una donna che ripensa al suo passato e guarda al suo futuro ma non mi ha colpita molto. Certo mi ha fatto pensare, mi ha fatto ricordare cose che avevo cercato di nascondere in un angolino della mia testa matta per non farle uscire di nuovo ma non ho trovato empatia con il personaggio. A volte la scrittrice racconta una vicenda e la lascia incompiuta. A volte racconta troppo. Una specie di diario scritto molto bene ma che non mi ha coinvolta fino in fondo. Ci sono davvero passaggi e frasi che fanno riflettere il lettore ma nulla più di questo.

Consigliarlo? Beh secondo il mio parere di lettrice non me la sento proprio anche se è un romanzo scritto bene, scorrevole ed in due orette si finisce tranquillamente ma sono sicura che tra qualche mese mi sarò dimenticata anche il titolo!